Racconto #008



Il giornalista quel mattino si recò alla casa di un noto personaggio assai originale, un uomo molto strano, si diceva che avesse la facoltà di distorcere la realtà.

Faceva abbastanza freddo e nelle case già si vedevano i primi addobbi per l’imminente festa del Natale, qualche albero illuminato e le lucine intermittenti rendevano meno cupo il grigiore della foschia invernale.

Arrivò all’indirizzo che il capo redattore gli aveva scritto su un biglietto di carta: <<via del Pungitopo n° 43>>, la casa era costruita su tre piani sfalsati ed era priva di un cancello che conducesse al giardino.

Percorso il breve vialetto che attraversava il giardino giunse al portone per poi voltarsi e contemplare che il giardino non era poi così piccolo, ma si trovò davanti ad un’enorme prato verde con numerosi uccellini che estraevano dal terreno non vermi ma biscotti a forma di animaletti e semini vivacemente colorati che vibravano e saltellavano fra i becchi degli uccellini e alcuni  fuggivano sull’erba bagnata.

Il giornalista suonò allora un campanello a forma di occhio che subito chiuse le palpebre ed esclamò: “Uhiuhiuhiuhi!!!”

Subito dopo si aprì il portone e si trovò davanti un ingresso con un albero al quale erano appesi numerosi cappelli, ed una lunga fila di gradini che non sembrava potessero starci dentro a quei tre piani.

Senza esitare salì le lunghe scale fino al pianerottolo dove si ritrovò davanti allo stesso portone che aveva appena attraversato, ormai strabiliato si girò verso le scale appena salite, ma le scale non c’erano più, c’era però il giardino dove nel frattempo vi erano giunti anche dei coniglietti che brucavano il dente di leone mentre i semini colorati ormai avevano invaso l’intero giardino.

Si sentì toccare una spalla e udì una voce: - ”Buongiorno, sono già tre domani che la stavo aspettando”. Il giornalista non seppe cosa rispondere e ricambiò il saluto. -“La prego si accomodi” e condusse il reporter in un piccolo salottino dove le poltrone erano formate da pagine di libri, erano tutte poltrone diverse, una era formata da pagine di libri di favole, un’altra con pagine di libri gialli, e c’era anche un divanetto di pagine di libri antichi scritti con un’ alfabeto indecifrabile, la lampada che illumina la stanza era formata da un cranio di dinosauro, il tappeto era formato da molti dipinti uniti assieme ed un bizzarro tavolino con un piano che pareva fatto di zucchero caramellato.

Arrivò l’uomo che nel frattempo era andato in cucina a preparare un the, si presentò con un bel vassoio con una teiera fumante due tazze di porcellana ed un barattolo di vetro con delle zollette di zucchero colorato.

Appena cominciò a versare il the caldo il giornalista si accorse che non era una teiera, bensì un grosso rospo che dalla bocca sputava un profumatissimo the caldo, le tazze non erano di porcellana, ma erano due palle di neve concave che nonostante il the bollente non si scioglievano e nel vaso di vetro le zollette erano quei semini colorati che vide poco prima fra l’erba del giardino.

I due si sedettero sulle poltrone di pagine di libro ed il giornalista iniziò l’intervista.

Erano talmente tante le curiosità che stuzzicavano l’ospite che non sapeva da dove iniziare così ogni parola che usciva dalla sua bocca diventava un bofonchio soffocato, ma questo non impedì al padrone di casa di rispondere anche se nessuna domanda fosse stata formulata.

“Sì, ho questa particolarità da circa ottocentoquaranta rossi e dodici freddi con una breve pausa verso gli azzurrini tiepidi”

Il giornalista non seppe come spiegarsi che la risposta era esattamente pertinente alla domanda che gli avrebbe voluto porre, e non interruppe l’interlocutore che proseguì.

“Sì certo, ho molti conoscenti e amici con i quali svolgo attività di svago come la ricerca della direzione dei venti per catturarne i suoni e le ombre”

Il giornalista era sempre più sbalordito dall’originalità di questo individuo, ma lo stava prendendo un senso di ansia e si sentiva sudare la fronte per il fatto che il grosso rospo continuava a fissarlo e si chiedeva con quali domande avrebbe dovuto continuare l’intervista.

L’uomo che distorceva la realtà continuò a rispondere a domande non ancora fatte, “sono qui da diciassette giri di luna e precisamente dal giorno che sta sul bordo del calendario, vengo dal confine di una scala di FA vicino all’alba di Alnilam”.

Il giornalista sempre più disorientato non voleva interrompere queste risposte così stupefacenti e diventava sempre più appassionato alle parole imprevedibili che udiva.

“Mi occupo molto dei miei impegni e sistemo il tempo che rimane sulle mensole delle librerie nella stanza di sopra, vicino al baule dei ricordi dimenticati, talvolta costruisco oggetti che servono all’umore triste di picche o felice di pane caldo, e questo alle persone piace molto e piace anche di più ai bambini”.

Il giornalista era talmente impressionato che gli scivolò la tazza di neve facendo fuoriuscire il the che finì sulle pagine della poltrona, non era preparato a tanta stranezza e non sapeva più come comportarsi nè cos’altro chiedergli anche se in realtà ancora nulla gli aveva chiesto.

“Scusi ma adesso non posso più rispondere alle sue domande” disse alzandosi dalla poltrona “mi dev’essere scappato un coniglio e chissà se mi è rimasto un calzino con cui riacciuffarlo, poi dovrò portare il fieno nella stalla delle renne, mettere ordine nell’ufficio delle lettere e chissà quante altre faccende mi rimangono, aaah, le persone sono sempre più esigenti, per non dire dei bambini”

Si girò e se ne andò entrando da una porta comparsa all’improvviso, o così era sembrato al giornalista che ancora teneva in mano la tazza di palla di neve.

Il reporter scese le scale e si diresse verso l’uscita, scendendo vide appeso all’albero dell’ingresso un grosso cappotto rosso di lana cotta foderato di pelliccia bianca.

Uscendo dal portone non c’era più il grande prato con gli uccellini ma si ritrovò nel piccolo giardino coperto dalla neve che nel frattempo stava cadendo, si fermò grattandosi la testa pensando che non sarebbe mai riuscito a spiegare nè a scrivere della sua esperienza, e con uno strano senso di serenità tornò a casa a fare una cosa che non faceva da tanto tempo: scrivere una lettera a Babbo Natale.



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